IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale nel procedimento n. 378/2001, reg. g.i.p., riguardante: 1) D.P. F., nato il ... in ... ed ivi residente; 2) D'A. D., nato il ... in e residente in ... ; 3) P. E., nato il ... in ... ed ivi residente; 4) B. G., nato il ... in ... e residente in ... ; Indagati per il reato di cui agli artt. 110, 112 n. 1, 635 cpv. n. 3 c.p. commesso in Chieti il 6 settembre 2001 in danno del comune della citata localita'. Fatto e diritto Con comunicazione di reato in data 7 settembre 2001 la squadra mobile della Questura di Chieti denunziava al p.m.m, in sede i minori D.P. F., D'A. D., P. E., B. G. a piede libero, ed i minori D. B. A. e D'O. A. in stato di irreperibilita', tutti quali autori responsabili del reato di danneggiamento aggravato perche' gli stessi, verso le ore 23 del 6 settembre 2001, penetravano all'interno dello stadio comunale "Angelini", sito in Chieti, viale Abruzzo, dove, dal personale subito accorso sul posto, venivano sorpresi sugli spalti della curva "ospiti" mentre effettuavano alcune scritte offensive ed inneggianti alla violenza contro i tifosi della squadra del Pescara sui gradoni e sulle vetrate antisfondamento che separano gli spalti dal campo da gioco. Gli agenti della Polizia tentavano di fermare i predetti giovani, i quali si davano a precipitosa fuga gettando a terra due bombolette spray di vernice. Accompagnati presso gli Uffici dell'U.P.G.S.P., i minori venivano consegnati ai genitori e quindi nominavano quale loro difensore di fiducia l'Avv.to Aldo Biello del Foro di Pescara. Con separate ordinanze in data 7 settembre 2001 (notificate agli interessati in pari data) il Questore della provincia di Chieti disponeva nei confronti di B. G., P. E., D. P. F. e D'A. D.), il divieto di accesso per mesi 8 (otto) ai luoghi dove si svolgono le partite di calcio di campionato e di Coppa Italia, sia interne che esterne, della S.S. Chieti (nonche', in occasione della disputa dei suindicati incontri, il divieto di accesso ai parcheggi circostanti lo stadio "Angelini" alla stazione ferroviaria di Chieti Scalo, all'antistante piazzale Marconi, a viale Abruzzo da Piazzale Marconi all'incrocio con via Tirino, a via Amiterno, tutte localita' di Chieti Scalo, in quanto interessate alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni medesime, con decorrenza dalla prima competizione successiva alla notifica dell'ordinanza) nonche' l'obbligo di presentarsi trenta minuti dopo l'inizio di ogni gara sostenuta dalla societa' sportiva "Chieti calcio" presso la Questura di Chieti, avvertendoli che, in caso di inottemperanza al presente provvedimento, sarebbero stati perseguiti ai sensi dell'art. 6, comma 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, cosi' come modificata dal decreto-legge 20 agosto 2001, n. 336. Il questore, quindi, inviava copia delle ordinanze al p.m.m, in sede per gli adempimenti previsti dall'art. 6, comma 3 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 e successive modifiche. Il p.m.m., con istanza in data 8 settembre 2001, chiedeva al g.i.p. presso questo Tribunale la convalida delle predette ordinanze emesse dal questore di Chieti, ma successivamente (10 settembre 2001) chiedeva allo stesso g.i.p. di sollevare questione di legittimita' costituzionale del novellato comma 3, dell'art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (nel testo sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera c, prima parte del decreto-legge 20 agosto 2001, n. 336), in quanto, nel sostituire il comma 3 dell'art. 6 della legge n. 401/1989, il legislatore aveva omesso di attribuire la competenza al p.m.m. ed al g.i.p. presso il Tribunale per i minorenni in ordine alla convalida dei provvedimenti emessi (dal questore ai sensi dell'art. 6, comma 3 legge n. 401/1989 e succ. mod.) a carico di minorenni. Ritiene questo g.i.p. che la questione di illegittimita' costituzionale eccepita dal p.m.m. sia rilevante e non manifestamente infondata, onde questo giudice, in accoglimento della richiesta del p.m., ritiene di dover disporre la sospensione del procedimento di convalida delle ordinanze del questore di Chieti e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Circa la rilevanza della questione, e' sufficiente notare che la nuova formulazione dell'art. 6, comma 3, della legge n. 401/1989 ha tolto al g.i.p. minorile la competenza in ordine alla convalida dei predetti provvedimenti del questore a carico dei minori riconosciutagli dalla sentenza n. 143/1996 della Consulta e che tale sottrazione di competenza viola l'art. 31, secondo comma della Costituzione arrecando pregiudizio al minore, la cui personalita' non puo' essere adeguatamente valutata dal giudice competente. Sulla non manifesta infondatezza ci si riporta ai rilievi della sentenza n. 143/1996 della Consulta ed appare opportuno rilevare che e' noto che l'art. 6 della legge n. 401/1989 (divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche) attribuiva in ogni caso la competenza in ordine alla convalida dei provvedimenti emessi dal questore a norma dell'art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 401/1989 al g.i.p. presso la Pretura circondariale dove aveva sede l'ufficio della Questura, e cioe' anche nel caso in cui destinatari delle prescrizioni stabilite dal questore ai sensi dell'art. 6, comma 2 della legge cit. fossero dei minorenni. Ma e' del pari noto che, con sentenza n. 143 del 7 maggio 1996, la Corte costituzionale dichiaro' l'illegittimita' costituzionale del terzo comma dell'art. 6 della legge n. 401/1989, per violazione dell'art. 31 della Costituzione (nella parte in cui tale terzo comma prevedeva che la convalida del provvedimento adottato dal questore ai sensi del seconda comma dello stesso articolo a carico d'un minore spettasse al g.i.p. presso la Pretura circondariale anziche' al g.i.p. presso il Tribunale per i minorenni), rilevando che l'obbligo imposto dal Questore ad un minorenne di comparire presso l'ufficio di polizia in un determinato orario comportava una restrizione della sua liberta' personale, com'era confermato dal fatto che la procedura per la convalida (di tale misura restrittiva) ricalcava la procedura prevista dall'art. 390 c.p.p. per la convalida dell'arresto o del fermo, sia per gli organi, (p.m. e g.i.p.) competenti per la convalida, sia per i termini stabiliti per la richiesta di convalida e per la convalida (48 ore per ognuna delle fasi) e sia per l'inefficacia della misura derivante dal mancato rispetto delle 48 ore; e che l'esclusione della competenza del giudice minorile (o la mancata previsione della competenza di tale giudice) era pregiudizievole agli interessi del minore, perche' precludeva la possibilita' di intervento dei servizi sociali ed una valutazione adeguata della personalita' del minore da parte dei servizi e quindi del giudice minorile, nonche' dell'utilita' ai fini educativi della misura restrittiva anche in relazione,alle modalita' della sua applicazione. E' altresi' noto che il decreto-legge 20 agosto 2001, n. 336 (che ha introdotto modifiche alla legge 13 dicembre 1989, n. 401) ha cosi' sostituito il comma 3 dell'art. 6 di tale legge: "La prescrizione di cui al comma 2 ha effetto a decorrere dalla prima competizione successiva alla notifica all'interessato ed e' comunicata al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente del luogo in cui ha sede l'ufficio di questura. Il pubblico ministero, se ritiene la sussistenza dei presupposti di cui al comma 1, entro quarantotto ore dalla notifica del provvedimento ne chiede la convalida al giudice per le indagini preliminari. Le prescrizioni imposte cessano di avere efficacia se il pubblico ministero non avanza la richiesta di convalida entro il termine predetto e se il giudice non dispone la convalida nelle quarantotto ore successive". Come e' agevole rilevare, il legislatore si e' limitato a sostituire all'espressione "Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale" quella "Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente del luogo in cui ha sede l'ufficio di Questura" per adeguare tale disposione alla soppressione delle Preture; ma sembra avere completamente ignorato il contenuto della sentenza n. 143/1996 della Corte costituzionale circa la competenza del giudice minorile relativamente alla convalida dei provvedimenti adottati dal Questore a carico dei minori. Dato il significato chiaro ed inequivocabile di tale disposizione, non e' dato (e sarebbe vano) ricercare i motivi per i quali il legislatore non ha modificato il disposto dell'art. 6, comma 3, della legge n. 401/1989 adeguandolo ai principi della nostra Costituzione (art. 31 Cost.) secondo i suggerimenti della predetta sentenza n. 143/1996; ne' puo' ritenersi semplicisticamente che si sia trattato di una mera svista del legislatore. Ma, anche se di svista si trattasse, bisognerebbe pur sempre prendere atto che, per effetto del decreto-legge n. 336/2001, la competenza in ordine alla convalida dei citati provvedimenti del questore spetta al p.m. ordinario ed al g.i.p. presso il tribunale ordinario, non avendo la legge previsto una specifica competenza del giudice minorile ed anzi avendo la novella legislativa reintrodotto nel nostro ordinamento giuridico una disposizione del tutto identica a quella anteriore (tranne la predetta sostituzione formale, a seguito della soppressione delle preture). Dopo il decreto-legge 20 agosto 2001, n. 366 ci si e' venuti a trovare nella stessa situazione normativa esistente prima della caducazione dell'art. 6, comma 3, della legge n. 401/1989 ad opera della sentenza n. 143/1996 della consulta, con conseguente violazione dell'art. 31 Cost.. Come ha esattamente rilevato il p.m.m. in sede, questo g.i.p. non puo' ritenere la propria competenza in ordine alla convalida delle prescrizioni imposte ai minori dal questore di Chieti, in quanto la chiara ed inequivocabile dizione letterale dell'art. 1, n. 1, lettera c), 3 (alias nuovo testo dell'art. 6, comma 3 della legge n. 401/1989) esclude e non prevede affatto la competenza in materia del giudice minorile. E' stato, invero, ripetutamente affermato che "e' fondamentale canone di ermeneutica, sancito dall'art. 12 delle preleggi, che la norma giuridica deve essere interpretata innanzi tutto e principalmente dal punto di vista letterale, non potendosi al testo "attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio, delle parole secondo la connessione di esse"; di poi, sempre che tale significato non sia gia' tanto chiaro e univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpretazione, si deve ricorrere al criterio logico: cio' al fine di individuare, attraverso una congrua valutazione del fondamento della norma, la precisa "intenzione del legislatore", avendo cura, pero', di individuarla quale risulta dal singolo testo che e' oggetto di specifico esame e non gia', o semmai in via subordinata e complementare, quale puo' genericamente desumersi dalle finalita' ispiratrici di un piu' ampio complesso normativo in cui quel testo, insieme con altri, ma distintamente da essi, e' inserito. Infine, ma solo "se una controversia non puo' essere decisa con una piu' precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe" (cfr. Cass. 16 ottobre 1975, n. 3359; 13 novembre 1979, n. 5901); che "quando dalla parola della legge appare chiara la volonta' del legislatore, non e' consentito al giudice, nell'interpretare la norma, sostituire a quella volonta' altra contraria o diversa, sol perche' la ritenga meglio rispondente alla proposta finalita' della legge stessa" (Cass. 11 gennaio 1983, n. 190); che "la ricerca della ratio legis costituisce soltanto un criterio sussidiario di interpretazione in presenza di norme di dubbio contenuto, ma non puo' valere a disattendere la portata della norma qualora questa, sia pure contro la intenzione del legislatore, abbia un inequivocabile significato" (Cass. 7 aprile 1983, n. 2454); che "a norma dell'art. 12 delle preleggi, nell'interpretazione delle norme giuridiche si puo' procedere alla ricerca dell'effettiva mens legis sul presupposto che il legislatore abbia inteso sancire una norma diversa da quella che e' resa manifesta dalla sua dizione letterale, solo nei casi in cui la lettera della legge non sia chiara ed inequivoca" (Cass. 27 ottobre 1983, n. 6363; 6 agosto 1984, n. 4631, in Giust. civ., 1984, I, 298). Non e', pertanto, consentito all'interprete superare la volonta' del legislatore risultante dalla chiara ed inequivoca dizione letterale della norma e non e' possibile attribuire alla norma un significato diverso da quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione (art. 12 preleggi), ne' indagare sui motivi o sulle intenzioni del legislatore, dovendo la legge essere valutata per quello che oggettivamente e' (indipendentemente dall'intenzione dei suoi conditores), in quanto la legge e' stata paragonata, con felice immagine, ad un frutto che, staccatosi dall'albero, assume una entita' propria, distinta dall'albero che lo ha prodotto. Ne' e' possibile interpretare la disposizione in esame (art. 6, comma 3, della legge n. 401/1989 nel testo novellato dal decreto-legge n. 336/2001) adeguandola ai precetti costituzionali, perche' ripetesi che il legislatore, con tale decreto-legge, ha completamente sostituito il terzo comma dell'art. 6 della legge n. 401/1989, ripristinando la norma quale esisteva prima della sua caducazione ad opera della sentenza n. 143/1993 della Consulta e senza prevedere la competenza del giudice minorile. E' indubbio, pertanto, che, allo stato attuale, la competenza in ordine alla valida dei predetti provvedimenti emessi dal questore a carico dei minori spetta al g.i.p. presso il tribunale ordinario; ma sembra ugualmente certo che tale competenza o la mancata previsione della competenza del g.i.p. minorile viola l'art. 31 della Costituzione perche' preclude la valutazione della personalita' del minore (da parte dei servizi sociali e del giudice) e della utilita' ai fini educativi della misura restrittiva e delle modalita' della sua applicazione. Si rende, percio', necessario un nuovo intervento della Corte Costituzionale perche' dichiari illegittima la disposizione de qua, nella parte in cui non prevede la competenza del p.m.m. e del g.i.p. presso il tribunale per i minorenni in ordine alla convalida dei predetti provvedimenti emessi dal questore a carico di minorenni.